Apro un blog, ok? Ma cosa scrivo? Me lo son chiesto fin dall'inizio eppure ne ho aperti due che, puntualmente, si fermano. Prima scrivi ogni settimana, poi ogni quindici giorni, poi ogni mese. Poi ti viene in mente in Lorenzo di Guzzanti che sta in chat con un coetaneo australiano, e chiede: "Ma che s'avemo a dì aho?". Un blog per scrivere che? Bisognerebbe aver le idee un po' più chiare. Il primo blog doveva parlare di qualsiasi cosa dimostrasse quanto siamo antistorici noi nati tra il 77 e il 79, o una cazzata del genere. Si insomma quanto siamo stati a cavallo di tante situazioni storiche determinanti. Cresciuti senza internet e il telefonino, nati troppo tardi per capire qualcosa di terrorismo e anche troppo tardi per per sapere cos'era il riflusso. Cazzate. Servirebbero delle storie.
domenica 22 gennaio 2012
domenica 31 luglio 2011
D'Avanzo, i bravi e i raccomandati
Giuseppe D'Avanzo era uno che la prima pagina di Repubblica se la meritava tutta. Era uno che con l'inchiesta sul Niger gate poteva tenerti incollato al giornale per giorni. Era uno bravo. E' morto e mi vien da pensare ad alcune impressioni che ho avuto di recente sul mondo del giornalismo in Italia: tante raccomandazioni, posizioni che non si smuovono se non con una telefonata dall'alto, posti di lavoro difficili da trovare. "E vai avanti se hai una spinta" si sente dire. Qualche dubbio che sia così a volte ti viene, anche leggendo le prime pagine dei più grandi quotidiani, anche confrontando la realtà che conosci con quel che scrivono ogni tanto "i grandi". Poi però in prima pagina su Repubblica trovavi D'Avanzo, fino all'altro giorno. Trovi Bolzoni, Bonini. In prima pagina sulla stampa ci trovi Gramellini e un po' meno di frequente Feltri figlio. Giornalisti bravi e non so, o non importa, se raccomandati.
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martedì 12 luglio 2011
Le frequenti ingiustizie con i nomi degli indagati
Vien da riflettere quando da parte di magistratura e forze dell'ordine ti trovi di fronte un muro di gomma dopo aver chiesto semplicemente qualche dato in più, qualche indizio (e non il nome e il cognome) di un soggetto di 35 anni che in auto ha travolto e ucciso un ragazzino di 17 anni ed è riuscito a fare anche peggio: è scappato dal luogo dell'incidente e il il giorno dopo ha mandato il padre di 77 anni in caserma dai carabinieri, dicendogli di assumersi la responsabilità di quanto accaduto.
Nè nome, nè cognome, una battaglia per avere le iniziali, nessuna informazione sul fatto che guidasse ubriaco o meno. Mi salta alla mente la notte tra sabato 4 e domenica 5 dicembre dell'anno scorso: arrestarono un marocchino, nel giro di un paio d'ore era già l'assassino di Yara Gambirasio, alle tre di notte arrivò il nome, il lunedì quel nome campeggiava sulle prime pagine di tutti i giornali. Tempo due giorni e il giudice delle indagini preliminari fece aprire la cella dell'immigrato. L'assassino non era lui e per fortuna anche noi della stampa abbiamo dovuto fare retromarcia (per forza) ripristinando la posizione dell'operaio magrebino.
Sul trentacinquenne automobilista pirata, invece, non ci sono dubbi. Sembra che in caserma, dai carabinieri, sia crollato e abbia ammesso tutto. Ma non si può nemmeno sapere in che condizioni stava guidando.
Nè nome, nè cognome, una battaglia per avere le iniziali, nessuna informazione sul fatto che guidasse ubriaco o meno. Mi salta alla mente la notte tra sabato 4 e domenica 5 dicembre dell'anno scorso: arrestarono un marocchino, nel giro di un paio d'ore era già l'assassino di Yara Gambirasio, alle tre di notte arrivò il nome, il lunedì quel nome campeggiava sulle prime pagine di tutti i giornali. Tempo due giorni e il giudice delle indagini preliminari fece aprire la cella dell'immigrato. L'assassino non era lui e per fortuna anche noi della stampa abbiamo dovuto fare retromarcia (per forza) ripristinando la posizione dell'operaio magrebino.
Sul trentacinquenne automobilista pirata, invece, non ci sono dubbi. Sembra che in caserma, dai carabinieri, sia crollato e abbia ammesso tutto. Ma non si può nemmeno sapere in che condizioni stava guidando.
Le frequenti ingiustizie con i nomi degli indagati
domenica 6 febbraio 2011
Memoria malata di politica
"Che tristezza la battaglia politica fatta a colpi di storia. E di morti. Che tristezza quelli che stanno in silenzio e fanno finta di nulla il 27 gennaio e poi diventano paladini della memoria il 10 febbraio. Che tristezza quelli che il 27 gennaio sono in prima linea a ricordare Auschwitz e i massacri nazi-fascisti e poi il 10 febbraio sotto sotto pensano "cosa volete che siano le foibe...poca roba". questa è l'Italia, poveri voi". E' il commento di un lettore di Bergamonews ad un articolo che ho scritto oggi, su una mostra organizzata dall'Arci della Valle Brembana in vista del 10 febbraio, giorno del ricordo per le foibe e l'esodo istriano e giuliano dalmata. L'Arci ha scelto di ricordare anche i morti jugoslavi per mano dei fascisti. Si è aperta la polemica. Ma il problema vero è che la storia è strumento di politica, troppo spesso da una parte e dall'altra. Io non m'indignerei nemmeno per la mostra dell'Arci. Se parla di morti veri e riporta fatti storici va bene. Quel che non mi piace, come non piace al lettore di Bergamonews, è chi ricorda il 27 gennaio e fa finta di niente il 10 febbraio, o chi il 27 gennaio ignora la memoria dell'Olocausto e poi il 10 è paladino della memoria delle foibe.
Memoria malata di politica
giovedì 3 febbraio 2011
Una foto innocente, per me
Ho scattato questa foto durante la visita del Presidente della Repubblica in quel di Bergamo. Un bimbo palestinese, in mezzo a tanti altri compagni di scuola, che sventola la bandiera italiana al passaggio del Capo dello Stato. In Facebook le polemiche non sono mancate. Un paio di conoscenti sostengono che il bambino è stato strumentalizzato dai genitori per fare "pubblicità" alla sua patria, in modo subdolo. Non sono affatto d'accordo. In questa foto vedo un'immagine bella e innocente, anche un'immagine di integrazione.
Una foto innocente, per me
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sabato 25 dicembre 2010
Yara: circo mediatico, ma non solo
Un caso come quello di Yara Gambirasio travolge un piccolo cronista di provincia. Ti ritrovi il mondo del giornalismo in un paese "normale" e capisci subito che non puoi più trattare un caso così con gli strumenti del mestiere che usi di solito. Pensi di aver trovato una notizia, ma per il circo mediatico, più elegantemente per la comunità giornalistica che si ritrova a Brembate Sopra, quella notizia è già cosa scontata, patrimonio comune. Concorrenza spietata, ognuno in cerca di un colpo, anche se si naviga in mezzo al nulla, nella penuria di informazioni, che si traduce in assenza di notizie. Passi lenti di indagini che fanno il paio con colpi scomposti dei giornalisti. Non so se mi piace questo mondo. Ma sotto sotto, anche sotto molto cinismo e ricerca del colpo sensazionale, resta forte più di qualsiasi altra cosa la voglia di raccontare, di capire. Curiosità che si sposa un po' troppo con la morbosità del pubblico, curiosità che spesso travalica sè stessa. Ma è ancora un qualcosa di nobile, quella curiosità. Ed è quella che in un circo non proprio piacevole ti permette di andare avanti.
Yara: circo mediatico, ma non solo
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lunedì 15 novembre 2010
le dimesse lezioni vendoliane
Nichi Vendola per ben due volte ha vinto le primarie del centrosinistra in Puglia ed è stato eletto presidente di quella Regione (tradizionalmente nera e missina), contro ogni pronostico. La Puglia e gli elettori del Pd hanno così lanciato un segnale. Ieri c'erano le primarie per il candidato sindaco di Milano. A sorpresa (sorpresa per il Partito Democratico) ha vinto il candidato vendoliano, un avvocato di sinistra di tutto rispetto e con una lunga storia politica e familiare alle spalle. La risposta del Pd, che sosteneva il suo candidato Stefano Boeri, si è concretizzata nelle dimissioni dei vertici cittadini, provinciali e regionali del partito. In Puglia, almeno, il risultato a sorpresa delle primarie era stato riconosciuto, con successivi successi elettorali. A Milano no. Ci si dimette tutti: un bel modo per disconoscere e rifiutare il risultato delle primarie, ovvero lo strumento che il Pd ha introdotto nella politica italiana, un pilastro del Partito Democratico. Un bel modo per disconoscere se stessi, per dimostrare che la lezione pugliese non ha insegnato nulla a nessuno, giusto perchè c'è il brutto vizio di pensare a priori che "tanto con Pisapia mica vinciamo...", così come si pensava con Vendola, il vizio di continuare a pensare che "se non ci spostiamo un po' più in là non vinceremo mai...". Il Pd nega se stesso.
le dimesse lezioni vendoliane
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